Nel nostro sistema democratico la necessità di una regolamentazione che permetta la trasparenza nell’attività di rappresentanza degli interessi può essere sicuramente un enorme vantaggio per arrivare ad avere un Sistema “Paese” più maturo, in cui, al netto delle demonizzazioni o delle santificazioni del ruolo dei lobbisti, si possa comprendere il ruolo di chi chiede l’approfondimento di alcuni argomenti e di chi dovrebbe avere il compito di trasformarli in legge e renderli poi esecutivi.
Nel resto del mondo, è possibile intanto inquadrare la questione con due linee di pensiero: a) la regolamentazione del lobbying come “opportunità” per promuovere la responsabilità pubblica dei decisori, tipica del Nord America; b) stabilire un sistema normativo per la materia che sia più che altro una “possibilità” per semplificare la dinamica dei rapporti tra imprenditori e legislatori e favorire la crescita economica.
Parlando degli Usa, va intanto chiarito che l’attivista lobbista trova un riconoscimento costituzionale nel Primo Emendamento, nel quale si specifica che chiunque può presentare petition al decisore pubblico. Ci fu nel 1946 un primo tentativo ( andato a male) di regolare la materia ma è di fatto che dal 1995 in poi che vi è un Lobbying Disclosure Act, che negli ultimi 22 anni è stato modificato e migliorato sia dalla Presidenza di George W. Bush che di quella di Barack Obama.
La legge americana da una larga definizione del concetto di lobby e contatto lobbistico: ogni comunicazione orale o scritta, comprese le comunicazioni elettroniche, che siano indirizzate ad un pubblico ufficiale appartenente a un ufficio esecutivo o legislativo, svolta per conto di un cliente e che riguardi la formulazione, la modifica, l’adozione di leggi federali; la formulazione la modifica, l’adozione di una norma federale, di un regolamento, di un Ordine Esecutivo ministeriale, o di un qualsiasi altro programma, o qualsiasi politica o presa di posizione del Governo degli Usa, l’amministrazione e/o l’esecuzione di un programma federale; la nomina o la conferma di una persona a un incarico soggetto al parere o alla ratifica del Senato Federale.
Il lobbista in America può registrarsi individualmente o come membro di una organizzazione dedita a tale scopo in un albo pubblico tenuto dal Segretario generale di entrambe le Camere, indicando i propri recapiti e quelli della propria società, l’attività prevalente svolta, i riferimenti del cliente, l’interesse che si vuole tutelare, i riferimenti di tutti coloro che sostengono tale attività con versamenti superiori ai 10.000 dollari a semestre, il settore di interesse, i disegni di legge o gli schemi di provvedimenti che sono oggetto dell’attività di lobbying. Seguono altri diversi adempimenti di vario tipo il cui scopo è quello di rendere tutto “trasparente”, come una casa di vetro, quello che accade a Capitol Hill. Va anche considerato che negli Usa, oltre alla specifica normativa che regola il fenomeno lobbistico, dal 1971, con l’approvazione del Federal Election Campaign Act, ogni cittadino, impresa, industria o associazione può costituire i Political Action Committees, meglio conosciuti come PACs, che sono diventati nelle ultime consultazioni presidenziali uno strumento efficace per raccogliere interessi, stimarli in termini economici e offrirli sul mercato federale e…allo stesso tempo, come affermato da una sentenza della Corte Suprema federale americana “espressione massima della democrazia”.
In Europa, come si è anticipato precedentemente, vi è principalmente l’obiettivo di facilitare l’interazione tra imprenditori e legislatori, perché questi promuovano lo sviluppo economico. La questione trasparenza e lotta alla corruzione, assume un rilievo secondario.
L’iscrizione del lobbista europeo ai registri, non è quasi mai obbligatoria, ma è solo diciamo una iscrizione di “convenienza” ed è ampiamente ignorata quando questi rappresentanti di interessi hanno già un accesso garantito, senza dover passare per questa “forca caudina”.
Un caso “esemplare” di normativa europea molto fragile in tal senso è quella della Germania Federale, varata nel 1972. Vi è da dire che lo scopo della normativa era legato non tanto a ritagliare un sistema di regole ai cosiddetti “lobbisti” che molti hanno in mente, quando si evoca questo termine, ma più che altro a inquadrare le potenti associazioni di categoria e i sindacati che nell’assetto tedesco, svolgono una dialettica costruttiva nel modello di economia di mercato sociale che è stata l’architrave del successo del governo di Bonn per molti anni.
L’iscrizione al registro è volontaria a Berlino e di fatto più che un sistema di controllo è una modalità per regolamentare l’accesso e il rilascio dei pass per gli uffici parlamentari. Il registro è dedicato alle organizzazioni piuttosto che ai singoli lobbisti e non contiene informazioni finanziarie. Afferma solo chi fa lobbying per conto terzi e su quali questioni concentra la sua attività.
In Francia, di fatto nel 2009, esistono due distinti registri presso l’Assemblea Nazionale e il Senato dove l’iscrizione è anche qui volontaria. I lobbisti devono specificare le risorse umane a disposizione della loro organizzazione e gli atti legislativi oggetto della loro attività. I loro clienti devono essere chiari ed identificati ma loro no.
In Gran Bretagna, il precedente governo conservatore di David Cameron ha lavorato ad un testo che prevedesse un sistema di registrazione obbligatorio per i lobbisti, ma di fatto l’unica cosa che finora ha funzionato è stato un meccanismo di autoregolamentazione in cui le tre principali realtà associative di lobbisti hanno costituito il Consiglio britannico per i public affairs” in cui gli aderenti sono invitati a registrarsi, ad aderire ad un codice etico. Per chi aderisce a tutto ciò, vi è sicuramente un ampio rispetto di tale codice interno. Ma vi sono categorie e individui che ruotano attorno alla difesa di interessi come avvocati, studi legali, think thank, che non aderiscono e perciò si permettono di poter non rispettare questo meccanismo di autoregolamentazione e giocano ovviamente “sporco” e chi ci perde ovviamente è il cittadino.
Un quadro più chiaro e propositivo è invece presente nell’ambito delle istituzioni europee dove il ruolo dei portatori di interesse è facilitato e allo stesso tempo regolamentato al fine di mantenere la trasparenza del processo legislativo. Nel 2011 è entrato in vigore l’ Interistitutional Agreement, che di fatto è un accordo tra Parlamento Europeo e la Commissione Europea per la istituzione di un “Registro per la trasparenza”, per le organizzazioni, le persone giuridiche e i lavoratori autonomi impegnati nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione. L’accordo regola le modalità di partecipazione dei gruppi di pressione ai processi di produzione normativa europea, che coinvolgono le due istituzioni firmatarie dell’accordo. Il “Registro per la Trasparenza” rappresenta dunque il primo passo nel tentativo di uniformare le regole adottate dalle istituzioni europee sull’attività di lobbying: anche il Consiglio europeo e il Consiglio dell’Unione europea sono, infatti, invitati ad aderire all’accordo.
Le due istituzioni conservano, comunque, la libertà di utilizzare il registro in maniera indipendente per i propri specifici obiettivi. L’adesione al registro è volontaria: èprevisto un sistema di iscrizione online, con incentivi come la segnalazioneautomatica delle consultazioni pubbliche su temi ai quali gli organismi registrati risultano essere interessati.